MENU > HOME
Filtra Ricerca
Filtra Per Anno

Dettaglio Comunicato

Comunicati > Informazione > Emittenza Pubblica e Privata > Dettaglio
14 Dicembre 2021 Rai - Audizione VIII commissione senato

Gentili Senatrici e Senatori,
a giugno si è rinnovato il Consiglio di Amministrazione della RAI. Il secondo Consiglio scelto secondo quanto stabilito dalla Legge 28 dicembre 2015, n. 220. È ampiamente maturo il tempo di aprire una riflessione su quanto quella legge abbia funzionato e su come sia urgente il tema della governance aziendale della RAI. Occorre, in pratica, capire davvero se il sistema disegnato nel 2015 abbia effettivamente messo l’azienda nelle condizioni di svincolarsi dalla politica.
Ogni azienda, e la RAI non è da meno, ha per prima cosa bisogno di avere certezze sul finanziamento del proprio piano di impresa, sulla propria “missione” culturale, tecnologica ed industriale.
La prima necessità è quindi quella di avere certezze sulle risorse economiche e sostenibilità economica in riferimento al finanziamento ottenuto, per realizzare quanto previsto dal contratto di Servizio Pubblico (c.d. Convenzione), l’attività di produzione cinematografica (Rai Cinema), di fiction (Rai Fiction) e di intrattenimento (Palinsesto – Offerta editoriale delle diverse Reti e Canali), oltre ai programmi culturali e di news.
Ogni azienda necessita di una stabilità economica e di linee di impresa generali che non pretendano di condizionarne finanche la gestione quotidiana dell’organizzazione del lavoro di singoli reparti come invece, troppo spesso, succede in Rai con un rapporto non sempre lineare con la politica. La RAI, il suo CdA, è oggi in questa condizione? Basta ripercorrere questi ultimi anni per capire quanto la situazione quotidiana sia drammaticamente diversa. Parliamo di un’azienda che continuamente ha visto mettere in discussione il finanziamento della propria attività. Il gettito del canone, come noto, non è interamente appannaggio dell’azienda e di certo non è utile un dibattito politico che, quasi quotidianamente, ha visto progetti per ridimensionarlo se non addirittura abolirlo tout court. Così come la restituzione, comunque positiva, di parte del gettito del canone non versato all’azienda è apparsa più come la decisione di un ministro che come un progetto di rafforzamento economico dell’azienda. Appare chiaro quindi come anche attraverso la leva del finanziamento si sia protratto quel rapporto “improprio” con la politica ed in particolare col governo che, in definitiva, ha vanificato il tentativo di svincolare il “decisore aziendale”, ovvero il CdA, dal “decisore editoriale” ovvero la politica, o meglio ancora l’esecutivo. Per non parlare dell’invadenza delle considerazioni di “opportunità politica” sulle scelte editoriali ed artistiche.
Tutto questo avviene in una fase storica inedita e del tutto eccezionale. La pandemia che il Paese sta ancora fronteggiando ha accelerato gli effetti dei processi di digitalizzazione. Parte importante del PNRR è incentrata proprio sui processi di digitalizzazione del paese, sia in termini infrastrutturali che del “capitale umano”. Il superamento del digital divide attraverso il completamento di infrastrutture strategiche quali la rete in fibra nazionale e il 5G porterà fatalmente ad un cambiamento dei modelli produttivi e di fruizione dei contenuti. Questi mesi hanno portato molti nostri concittadini a conoscere e familiarizzare con modelli comunicativi “nuovi”, le piattaforme on demand e i grandi player internazionali, i così detti OTT. La tv generalista, e con essa più in generale i vari produttori di contenuti, sono chiamati a ripensare il proprio ruolo, cambiare le proprie strutture tecnologiche e rivedere le professionalità. La Rai può fare a meno di affrontare questo percorso? Noi siamo convinti che proprio la RAI, la più grande azienda culturale del paese, debba porsi all’avanguardia di questo processo di alfabetizzazione digitale. La riacquisita consapevolezza dell’importanza della presenza del pubblico nelle infrastrutture di rete impone l’apertura di un dibattito sul ruolo che la RAI dovrà avere, come servizio pubblico per definizione, nel processo di digitalizzazione conseguente. La Rai non è solo un broadcaster. La RAI è stata e deve continuare ad essere un bene pubblico che deve contribuire alla costruzione di una “coscienza” collettiva, di una consapevolezza del cambiamento vissuto come opportunità e non come rischio. Ma soprattutto deve continuare a produrre contenuti, culturali e giornalistici, a partire dal proprio sterminato patrimonio documentale e di credibilità professionale, ma ci sentiremo di aggiungere anche di sostenere che anche l’offerta dei programmi di intrattenimento, visto il ruolo fondamentale che ha svolto l’offerta Rai in questo drammatico periodo emergenziale, sia un’offerta che RAI dovrebbe continuare a produrre in maniera intelligente senza rincorre a tutti i costi l’emittenza privata.
Per fare questo però occorre che l’azienda e le sue lavoratrici e lavoratori tornino “padroni dei propri destini”. Bisogna chiedersi davvero se l’attuale modello di governance è funzionale a cogliere questa sfida. Occorre un modello nuovo, che “disintermedi” i vertici aziendali da quelli politici, restituendo ai primi il compito di disegnare davvero un piano di sviluppo, metterlo in pratica ed esser giudicati per quanto si è stati in grado di fare. Un piano che sia in grado di valorizzare le professionalità interne, aumentandone le competenze ed aggiornandole con la rivoluzione digitale in atto, oltre a realizzare un’attenta formazione (continua) ed un aggiornamento professionale.
In questo contesto, anche la scelta operata dal Legislatore di far eleggere dai lavoratori un componente del CdA rischia onestamente di essere più una “occasione mancata” che uno strumento reale di coinvolgimento dei dipendenti nei processi decisionali. L’esperienza di questi anni passati ci ha restituito la sgradevole sensazione che dietro l’offerta di un posto nel CdA ad un rappresentante dei lavoratori ci sia stata più che altro la cattiva coscienza della politica che una reale volontà di coinvolgimento.
Noi continuiamo a ritenere un sistema dualistico, dotato di un consiglio di sorveglianza, sia il modello adatto per dar voce concreta alle istanze sacrosante di chi rappresenta la forza lavoro. Si tratta di un modello in cui vige il principio della codeterminazione che prevede la rappresentanza obbligatoria di lavoratrici e lavoratori nel “Consiglio di Sorveglianza” (un corrispettivo del Collegio Sindacale in Italia) delle grandi aziende. Un organismo che disponga di un importante diritto di informazione e di consultazione, nonché un diritto di veto in decisioni potenzialmente dannose quali, ad esempio, delocalizzazioni produttive, chiusure di impianti, fusioni o acquisizioni aziendali.
Oggi, dinanzi alla plastica dimostrazione della inadeguatezza della riforma del 2015 che non ha di certo “liberato” la Rai dal rapporto ambiguo con la politica, affidandolo direttamente al Governo, e non al Parlamento quale luogo di rappresentanza del Paese, riteniamo non più rinviabile mettere all’ordine del giorno della nostra azione come contribuire in maniera attiva alla costruzione della RAI del futuro e, conseguentemente, come rendere possibile questo cambiamento, ad iniziare da un nuovo modello di governance. Tenendo però sempre ben presente che il luogo dove rappresentare gli interessi ed i problemi quotidiani delle lavoratrici e dei lavoratori della Rai continua ad essere, e non potrebbe essere diversamente, il confronto sindacale. Confronto che non può e non deve essere superato da nessuna forma di rappresentanza “surrogata”.
Noi proviamo quotidianamente a dare voce ad una parte molto importante delle lavoratrici e dei lavoratori di questa azienda che vedono sempre più frustrate le proprie aspettative di cambiamento e di maggiore valorizzazione e che non accettano più di vedere la propria azienda piegata a logiche sempre più lontane dal ruolo che la Rai deve avere nel paese.
Questi mesi di profonda crisi hanno aggravato la situazione economica dei conti aziendali, proprio nel momento in cui occorrerebbe concentrare il massimo sforzo, anche economico, nel preparare la RAI alla rivoluzione digitale. Alle ricadute oggettive derivate dalla crisi economica dovuta alla emergenza pandemica rischiano di sommarsi gli esiti di scelte regolatorie e legislative che, sebbene legittime, potrebbero avere un esito nefasto sulla tenuta complessiva dell’azienda. Ci riferiamo all’impegno di eliminare dalla bolletta energetica tutti gli “oneri impropri” (ed in questa voce potrebbe ricadere anche l’esazione del Canone Rai) ed agli esiti del nuovo “Testo Unico dei Servizi Media Audiovisivi (TUSMA)”, in particolare alla disciplina che ne deriva in tema di affollamenti pubblicitari. Se da un lato l’eventuale estromissione del Canone dalla bolletta energetica riproporrebbe in tutta la sua complessità il tema dell’evasione, dall’altro il testo del TUSMA licenziato dal Consiglio dei Ministri, nel ridefinire i tetti pubblicitari, disegna un modello che, a regole costanti, comporterebbe una perdita annua per le casse della Rai di una cifra di stima che potrebbe aggirarsi intorno ai 60 milioni di euro.
Parliamo di temi che riportano in tutta la sua urgenza il tema di come si sovvenziona una realtà tanto complessa come la Rai e, soprattutto, di come dare stabilità e certezza del budget. Oggi, con il rinnovo del Contratto di Servizio in fase avanzata e con la Vostra attività legislativa in corso per la definizione di un nuovo modello di Governance non possiamo ignorare in alcun modo il tema economico. Naturalmente il “quanto” non può e non deve essere svincolato dal “cosa”. Un ragionamento serio su come si finanzia stabilmente un bene pubblico quale è la RAI non può in alcun modo essere svincolato dalla cosa questo bene pubblico dovrà svolgere per i prossimi anni per la Collettività. Questa audizione è una scelta meritoria di codesto Parlamento, ma forse andrebbe affiancata da un vero e proprio “dibattito pubblico” nel quale tutti gli stakeholder del Servizio Pubblico provino a ricercare una sintesi sul prossimo “mandato” che si assegnerà alla Rai.
Una cosa che salta agli occhi nelle scelte di questo nuovo CDA è l’apparente mancanza di organicità nelle scelte che inizia ad operare.
Un altro aspetto fondamentale è la durata del mandato, tre anni sono veramente un tempo insufficiente per gestire ed amministrare un’azienda complessa come la RAI, considerando che mai nessun Cda viene mai confermato a fine mandato, riterremmo almeno 5 gli anni congrui ad imprimere un cambiamento competitivo in termini di riforma, riorganizzazione ed investimenti.
Non possiamo essere guidati da un mero spirito di contenimento dei costi, ed una conoscenza sommaria delle professionalità interne e della potenzialità produttive distribuite sul territorio e per le diverse aree (Staff, editoriale e produzione radio televisiva). La più grande azienda culturale del Paese ha bisogno di un progetto, una “missione” che ne precisi ruolo, mezzi e tempi di realizzazione. Il tema di una presenza forte, rinnovata, dell’azienda nelle regioni non può essere solo legata alla revisione della spesa. I cambiamenti in atto nella società, abilitati dalla rivoluzione digitale, impongono un ripensamento del ruolo delle sedi regionali, in un’ottica adi rilancio, quale presidio di servizio pubblico e di informazione d prossimità. Così come il ruolo delle aziende del gruppo, a partire da Rai Way, non può essere demandato solo ad operazioni di valorizzazione possibile che se da un lato potrebbero portare qualche beneficio economico “one shot” dall’altro potrebbero privare l’azienda, e quindi il paese, di asset strategici.
C’è poi tutto il tema dell’ammodernamento tecnologico dell’azienda. La sfida della digitalizzazione impone uno sforzo eccezionale sia sul versante delle competenze dei lavoratori che di quello, economicamente estremamente rilevante, della digitalizzazione dell’azienda.
Qui si apre il tema dell’obbligo della Rai di sottostare, in quanto azienda pubblica, alla disciplina europea degli appalti. Non siamo in nessun modo corifei della dottrina della deregolamentazione, ma poniamo il tema della tempestività, soprattutto per gli investimenti infrastrutturali, dell’azienda nel dotarsi di nuove tecnologie che le permettano di candidarsi a giocare un ruolo nella competizione con le nuove piattaforme streaming.
La RAI quando si pone sul mercato per acquistare beni o servizi che riguardano il settore radio televisivo, non può decisamente essere considerata come un organismo di diritto pubblico, come una pubblica amministrazione che deve far fronte al suo fabbisogno strumentale, ma come una società che deve acquisire beni e servizi funzionali alla realizzazione delle produzioni radio televisive.
Anche se la riforma del 2015 e il Codice appalti (d.lgs. 50/2016) abbiano previsto una disciplina “in deroga” per i contratti del settore radiotelevisivo, la normativa non è stata in grado di risolvere tale problema.
Nei contratti del settore radiotelevisivo (tra cui le facilities relative agli eventi sportivi) si deroga alle regole e alle norme dei settori ordinari, fatti salvi i principi generali di sicurezza sul lavoro, economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità e, ove applicabili in relazione allo specifico oggetto del contratto, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.
Derogare dal Codice degli appalti per i contratti del settore radiotelevisivo, prevedendo però il rispetto dei principi generali di imparzialità, trasparenza, efficacia, efficienza e controllo interno, determina solo insicurezza nel processo decisionale di affidamento ed aggiudicazione, non una vera e propria deroga ma un rispetto della normativa del codice appalti senza certezze di aver rispettato i criteri, con l’aggravante di non sapere mai se si sia rispettato o meno il protocollo previsto, questo determina l’ingessatura di ogni acquisto, oltre a non esser chiaro cosa si intenda “per contratti del settore radiotelevisivo”, e se tra questi tipi di contratti rientrino gli acquisti dei mezzi di produzione radio televisivi !
Sarà necessario interpretare al meglio ciò che verrà introdotto, con il decreto legislativo novembre 2021, n. 208 di attuazione della direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, che entrerà in vigore il 25 dicembre 2021.
Nella discussione su un nuovo assetto legislativo dell’azienda questi temi non possono non essere considerati. Voi siete chiamati a costruire le basi legislative, e quindi operative, del nuovo servizio pubblico in chiave di maggiore indipendenza, di efficienza, di innovazione e di inclusività sociale.
Perdere oggi la sfida del cambiamento potrebbe davvero significare precludere all’azienda un futuro da protagonista. Occorre davvero un atto di responsabilità da parte di tutti ed aprire un confronto che affronti il tema di come si possa migliorare la governance aziendale, allontanandola dagli interessi di parte e lasciandola libera di proporre al paese un nuovo progetto condiviso di servizio pubblico per un paese che cambia ogni giorno e che ha bisogno della Rai oggi come ne ebbe bisogno negli anni della ricostruzione post bellica e di quello che sarebbe poi diventato una periodo di grande cambiamento sociale ed economico.
Per questi motivi riteniamo utile confrontarci da subito con tutti gli stakeholder, nel pieno rispetto dei rispettivi ruoli ma ben consapevoli che solo da un confronto ampio, a partire dai bisogni e dalle legittime aspettative dei lavoratori (Operai, Impiegati e Quadri), che abbiamo l’onere di rappresentare, si possa costruire una Rai più moderna, in sintonia con il paese e capace di coglierne le tante energie, locali e nazionali, che aspettano di essere raccontate, valorizzate, rese protagoniste di un cambiamento collettivo.
Roma, 14 dicembre 2021
Le Segreterie Nazionali
SLC CGIL FISTEL CISL UILCOM UIL

Rai - Audizione VIII commissione senato Informazione > Emittenza Pubblica e Privata